Ho sempre apprezzato chi dal pianoforte, riesce a cavare serene melodie, riesce a improvvisare melodiose armonie che in momenti di tristezza o di pace interiore ti possono infondere, stimoli positivi, pacatezza.
Dai tasti bianchi e neri, l'amico Lucio Belviso, trae quanto da questo bellissimo strumento io ricerco. In queste righe avrei voluto tracciare un quadro di Lucio, musicista completo e preciso, ma leggendo quanto Gianni Anglisani ha scritto di lui mi son domandato perchè non pubblicare quelle parole? parole che potrei fare mie...
Conosco da tempo Lucio Belviso, una conoscenza che, però, a lungo rimasta superficiale essendo, i nostri, incontri casuali che si esaurivano in chiacchierate collettive sui più svariati argomenti, durante le quali emergeva lo spirito intelligente, a volte pungente senza cattiveria, sempre di livello del musicista gradiscano, ma non si arrivava mai a parlare dello «specifico» discorso sulla musica.
Ecco: il musicista Lucio Belviso l'ho conosciuto veramente dopo l'uscita della prima cassetta e, completamente, dopo la seconda. Oltre il musicista scoprii e rivalutai ancor più anche l'Uomo Lucio Belviso. Voglio dire che dopo l'ascolto di quella musica suonata in maniera che - pur rispettosa fino al puntiglio dei testi - riusciva a parteciparmi emozioni nuove, coinvolgendomi in maniera totale come se la ascoltassi per la prima volta, mi resi conto che l'Uomo Belviso era portatore di una carica umana e creativa ben più complessa e ricca di quanto gli occasionali incontri avevano potuto suggerirmi. E, in più, era portatore di una sua capacità di «trasferirsi» con l'anima in quella dimensione poetica - tra realtà e sogno, dentro e nello stesso momento al di sopra del tempo e dello spazio - che è la dimensione in cui vive l'artista nel momento in cui crea.
Perchè Lucio Belviso, quando suona, crea. Una creatività, la sua, ancora più corposa proprio perchè - come dicevo prima - si concretizza pur nel più scrupoloso rispetto dei testi. E mi viene in mente l'esempio di due pittori impressionisti, i quali si recavano a dipingere dal vero, alla stessa ora, identici paesaggi. Entrambi tecnicamente superlativi, entrambi ossequienti delle regole che la nuova «corrente» aveva lanciate. Eppure, solo nei quadri di uno di essi (quadri apparentemente identici) la luce vibrava e si tendeva, il vento alitava, le nuvole viaggiavano, fiori ed erbe emanavano profumi.
Questo non è spiegabile altrimenti che con la presenza della poesia, lo stato di grazia che dalla poesia trae vita e che l'artista raggiunge quando è capace di annullarsi (o, forse meglio, svelarsi a se stesso?) in ciò che fa. Ed è questo che accade a Belviso: egli si identifica nella musica che esegue, alla musica che esegue affida tutto se stesso. Ed ecco che ascoltando anche da lontano «Malaguena» o «Andalusia» esse sono di Belviso e la prima idea non è «che bravo Lecuona» ma: «come suona bene il Lucio». E così avviene per «Sogno d'amore» di Liszt, e così è per lo Chopin di «Tristezza» o per «Gamma» di Simonetti.
Lucio Belviso, dunque: un musicista il quale, forte di una cultura classica che apre ampi orizzonti alle sue possibilità e al suo talento, sa calarsi nel proprio tempo, sa riportare nel proprio tempo opere di valore universale per donare momenti di intensissima poesia agli altri uomini che insieme a lui viaggiano in anni che agli uomini sembrano voler rapinare anche i sogni.